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capitolo xxiii. - il ritorno alla costa 215


Un altro motivo più imperioso li consigliava anche di fuggire verso il nord. La tema di giungere alla costa troppo tardi e di correre il pericolo di trovarsi abbandonati, in pieno inverno, su quel continente. I loro compagni, non vedendoli ritornare nel tempo stabilito, potevano crederli morti, ed imbarcarsi nella scialuppa o sulla Stella Polare, nel caso che questa fosse stata costretta a retrocedere.

Per queste ragioni, l’indomani i tre esploratori affrettarono i preparativi di partenza. Essendo quasi senza viveri, abbatterono parecchi volatili e due foche per ricavare l’olio necessario alla loro lampada, avendo ormai ultimato la loro riserva di alcool, poi visitarono le biciclette che trovarono in ottimo stato malgrado le pressioni dei ghiacci, e ripiegarono le coperte e la tenda.

— Affrettiamoci, amici, disse Wilkye. Date un ultimo sguardo a questa regione che forse nessun altro uomo mai rivedrà, e poi partiamo.

— E la bandiera? chiese Peruschi.

— Rimanga qui a sventolare ai soffi del vento polare a testimonianza della nostra venuta.

— Una parola, signore, disse Blunt. Propongo che quella montagna che erge la sua vetta verso la croce del sud, si chiami Wilkye.

— Grazie, amico, disse l’americano. Ed io propongo che questo mare si chiami Peruschi, avendolo pel primo scoperto, e che questa distesa di ghiacci banco di Blunt.

— Grazie, signore, dissero i due velocipedisti, commossi. Urràh pel monte Wilkye, urràh pel mare Peruschi e urràh pel banco Blunt!!!

— Addio, polo australe, disse Wilkye, lanciando un lungo sguardo su quelle regioni. Possano altri uomini del pari fortunati, posare i loro piedi sui tuoi ghiacci