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60 al polo australe in velocipede

CAPITOLO VII.

Una balena speronata.

Il capo Horn ebbe per lungo tempo, ed ha ancora, una fama tristissima, maggiore di gran lunga a quella che aveva il Capo di Buona Speranza. Il solo suo nome per ben due secoli incusse un vero terrore ai naviganti: si parlava di quella gigantesca rupe come di una cosa diabolica e si creavano, su di essa, paurose leggende.

Infatti quell’estrema isola dell’America meridionale, perduta sui confini dell’Atlantico e dell’oceano Pacifico, sbattuta sempre dalle onde e spazzata dai gelidi soffi dell’oceano Australe, non poteva certo ispirare molta confidenza. Molte e molte sono state le navi, che trascinate dalle correnti e dalle contro-correnti o sfondate dai ghiacci, trovarono ai piedi del sinistro scoglio la loro tomba.

Ora le paurose leggende sono state sfatate ed a centinaia si contano i vascelli che ogni anno girano il temuto Capo, ma ancora si calcolano a quattro o cinque i legni che vanno a fracassarsi, durante la stagione invernale, sulle nere roccie, o che vanno ad arenarsi sulle spiagge vicine.

Questo capo Horn, non è però altro che un’isola, ma d’aspetto tetro. Si eleva sotto il 56° di latitudine Sud, poche decine di miglia al di là di quel gruppo d’isole che chiamansi dell’Eremita, le quali cingono le coste meridionali della Terra del Fuoco.