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68 al polo australe in velocipede


Mandò un grido disperato:

— Aiuto!... Aiuto Wilkye, amico mio!... Sono...

Non poté finire, poiché fu bruscamente rovesciato in fondo all’orribile ferita, entro quella specie di canale, gorgogliante di sangue.

Il cetaceo, che non era ancora morto malgrado quella seconda speronata, si alzava sopra le onde, agitando convulsamente la coda e le pinne pettorali.

Doveva essere agonizzante, poiché dagli sfiatatoi lanciava, ad intervalli, zampilli d’acqua tinta di rosso. Rauchi brontolii, paragonabili al tuono udito in lontananza e profondi sospiri che parevano muggiti, uscivano da quell’enorme massa, mentre dalle due ferite zampillavano in mare torrenti di sangue.

Il povero Bisby, atterrito, livido come un morto, non osava più muoversi. Rannicchiato in fondo alla ferita del cetaceo, si lasciava imbrattare di sangue e di grasso e cercava di scoprire la Stella Polare, sperando di vederla riapparire fra la nebbia.

Ad un tratto la balena fu presa da un brivido generale. Alzò lentamente il capo come volesse aspirare una ultima volta l’aria, emise una debole e rantolosa nota, la sua coda si distese inerte, poi si udì un rauco gorgoglio che pareva prodotto dall’irrompere dell’acqua nell’enorme corpo.

— Cosa succede? si chiese Bisby, con ansietà.

La risposta fu pronta: la balena affondava rapidamente. S’immerse la sua coda, poi il suo capo, indi la massa intera disparve, formando alla superficie dell’oceano un largo risucchio.