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82 al polo australe in velocipede


le otto di sera, nel momento in cui il nebbione si alzava, e che il sole cominciava ad apparire indorando le cupe acque dell’oceano Antartico, le alghe quasi improvvisamente scomparvero.

Tosto furono ammainate le vele, la gran scialuppa fu calata in mare e sei uomini andarono a sbarazzare l’elica. Non fu però una operazione facile, poichè le alghe si erano attorcigliate alle pale in siffatto modo, da richiedere una lunga operazione prima di reciderle.

Alle nove però, la Stella Polare si rimetteva in marcia a tutto vapore.

Quasi nel medesimo istante compariva in coperta Bisby. Aveva dormito una dozzina di ore dopo d'aver bevuto una bottiglia di vino caldo e pareva completamente rimesso da quella brutta avventura che per poco non gli era costata la vita.

Si era infagottato in vesti di pelle di foca, si era avvolto maestosamente nella sua famosa pelle di bisonte che gli dava un aspetto di capo indiano e si era messo in testa un cilindro nuovissimo, avendo perduto l’altro nel brutto capitombolo.

La sua prima domanda, appena mise piede in coperta, fu questa:

— È cucinato il mio albatros?

— Il ghiottone! esclamò Wilkye. Tanto vi preme la carne coriacea di quell’uccellaccio?

— Cospettaccio!..... se mi preme?..... Ah! voi non sapete che voleva mangiarmi?

— Eh via! esclamò Linderman, ridendo. Non siete un gabbiano, nè un pesce.

— Mi aveva assalito, signore, e se non lo strozzavo non so se sarei ancora vivo.

— Ma come siete caduto? chiese Wilkye.