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i leopardi dello sciamo 125


— Come abbassarci? — chiese Fedoro. — Non v’è alcun mezzo, capitano?

— Nessuno se non rallentiamo la battuta delle ali, — rispose il comandante. — Ah! Pare che si decida a sgombrare! Se si provasse a saltare!

— Un capitombolo di quattrocento metri! Non lo tenterò di certo, — disse Rokoff.

L’irbis, dopo essere rimasto qualche minuto immobile presso il boccaporto, rannicchiato su sè stesso, aveva fatto un passo indietro, senza staccare gli occhi dai quattro aeronauti.

Non pareva troppo contento di quel viaggio intrapreso involontariamente.

Brontolava sordamente, arricciava il pelo e agitava nervosamente la lunga coda inanellata. Di quando in quando un brivido lo faceva sussultare e girava la testa a diritta e a manca come se cercasse di scorgere qualche albero su cui slanciarsi.

Aveva cominciato a indietreggiare lentamente allungando, con precauzione, prima una zampa e poi le altre, senza abbandonare tuttavia la sua posa d’assalto.

Vedendo Rokoff fare un passo innanzi coll’arpione teso, arrestò la sua marcia retrograda e si raccolse su sè stesso come fanno i gatti quando si preparano a slanciarsi sul topo.

Aprì le formidabili mascelle, mostrando due file di denti, bianchi come l’avorio e aguzzi come triangoli, mandando un rauco brontolìo che finì in un soffio poderoso.

— No, Rokoff! — disse Fedoro. — Si prepara ad assalirci.

— Fermatevi, — comandò il capitano, il quale si era impadronito d’una pesante cassa per scaraventarla contro la belva, nel caso si fosse slanciata innanzi. — Lasciatela indietreggiare.

— Finiamola, — disse il cosacco. — Siamo in quattro.

— E tre sono inermi, — disse Fedoro. — Vuoi farci sbranare?

— Lasciate che si allontani dalla macchina, — rispose il capitano. — Poi scenderemo. —

L’irbis stette qualche po’ immobile, continuando a brontolare, poi con un balzo di fianco si avventò verso la balaustrata, aggrappandosi ai ferri e guardando abbasso.

Per un momento i quattro aeronauti credettero che si slanciasse nel vuoto; la loro speranza però ebbe la durata di pochi secondi.

La fiera, spaventata dall’abisso che le si apriva dinanzi, si era lasciata ricadere sul ponte. Tremava, come se avesse la febbre e gettava all’intorno sguardi smarriti, nei quali però balenava sempre un lampo di ferocia.