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166 | capitolo ventesimo |
ospiti dei pezzi enormi su piatti d’argento, invitandoli a far onore alla modesta cucina della principessa Khurull-Kyma-Chamik.
— Mi pare che abbia sternutato — disse Rokoff.
— No, ha pronunziato il nome della bella principessa, — rispose Fedoro.
— Un nome superbo! Compiango suo marito, se ne ha avuto uno, costretto a sternutare forse cinquanta volte al giorno per chiamare la sua sposa. —
Si erano messi a mangiare con molto appetito, trovando i capretti deliziosissimi e anche le focacce e i pasticci.
Anche la principessa, quantunque quasi sdentata, si sforzava di tener dietro agli ospiti, masticando come meglio poteva e bevendo molto kumis.
Durante quella laboriosa operazione, alzava sovente il viso, guardando di sfuggita i tre uomini bianchi e fermando soprattutto i suoi occhi su Rokoff, le cui forme erculee e la barba rossastra dovevano averle prodotto un certo effetto. Anzi, sovente si curvava verso il monaco, che divorava per quattro e beveva per otto, mormorandogli all’orecchio qualche parola e indicandogli il cosacco.
Il capitano, che si era accorto di quelle manovre, urtò Rokoff, dicendogli:
— Badate! La principessa fa troppa attenzione a voi. Temo che le abbiate toccato il cuore.
— Per le steppe del Don! Non ditelo nemmeno per scherzo.
— E che, non vi piacerebbe diventare principe di Turfan?
— Con quella vecchia!
— Non è poi tanto brutta, — disse il capitano, frenando con molto stento le risa.
— Che il diavolo se la porti!
— E sarà anche ricchissima.
— Non continuate, o scappo via.
— Non guastate le nostre buone relazioni con questi Calmucchi. Sarebbero capaci di mandarci in pezzi lo Sparviero.
— Dopo il pranzo ce ne andremo.
— Dobbiamo assistere alla festa delle lampade. La popolazione sta già facendo i preparativi.
— Chi ve lo ha detto?
— Il mandiki.
— Avrei preferito andarmene.
— Più tardi, quando avremo ricevuto i montoni promessi. —