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186 capitolo ventiduesimo


Tutti e tre s’immersero, sollevando giganteschi sprazzi.

— Capitano! Fedoro! — gridò, mettendosi a nuotare vigorosamente per non venire trascinato via dalla corrente che era impetuosissima.

Prima a comparire fu la testa del capitano, poi anche Fedoro emerse agitando disperatamente le braccia.

— Che non sappia nuotare? — si chiese il cosacco.

Fendette la corrente e lo raggiunse nel momento in cui stava per scomparire di nuovo.

— Coraggio, amico! — gli gridò.

Sorreggendolo per un braccio, si spinse verso la riva, sulla quale stava arrampicandosi il capitano.

— Aiutatemi, signore! — gridò.

— A voi! — rispose il comandante.

Si era slacciata la lunga sciarpa di lana rossa che gli cingeva i fianchi e gliela aveva lanciata, tenendola per l’altro capo.

Rokoff la prese al volo e si lasciò portare verso le rocce, sempre sorreggendo l’amico.

— Ferito? — chiese il capitano, vedendo Fedoro pallidissimo.

— No... No... è il freddo e anche l’emozione, — rispose il russo — e poi non so nuotare... grazie Rokoff. Senza di te l’acqua mi avrebbe trascinato via. Che salto! Tremo come se avessi la febbre.

— E quel maledetto jack? — chiese Rokoff. — Credevo che vi piombasse addosso e vi schiacciasse.

— Si è messo in salvo sull’altra riva, — rispose il capitano. — Mi pare però che si sia spezzate le gambe o fracassate le costole. —

L’animale pareva infatti che non se la fosse cavata molto liscia in quel terribile capitombolo. Era riuscito a salire la riva, poi si era lasciato cadere al suolo muggendo lamentosamente e perdendo sangue dalla bocca.

— Muori dannato! — gridò Rokoff.

— Ed ora, che cosa facciamo? — chiese Fedoro. — Mi sembra di avere al posto del cuore un blocco di ghiaccio. Come era gelata quell’acqua!

— Cerchiamo un’uscita e torniamo allo Sparviero, — disse il capitano. — Ne ho anch’io abbastanza di questa caccia.

— Uscire! — esclamò Rokoff. — Lo potremo noi? Guardate, signore, e ditemi come potremo fare a tornare lassù.