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192 emilio salgari


e si fissavano con inquietudine sotto l’ombra proiettata dai grandi alberi della foresta.

Stette alcuni istanti immobile, come fosse poco rassicurata da quel silenzio o sorpresa di non udire più il grugnito della preda, poi si mise ad avanzarsi con quella grazia noncurante che hanno le donne civettuole.

Si raddrizzava, volgeva la testa ad ogni passo che faceva, agitava la coda, balzava, si leccava e si stirava come un gatto domestico annoiato.

D’improvviso s’arrestò, poi s’abbassò bruscamente: il babirussa aveva mandato un grugnito di spavento.

– Tenetevi pronti – mormorò l’olandese.

La tigre si era messa a strisciare silenziosamente, tenendosi nascosta dietro ai cespugli. S’avanzava in direzione del cespuglio ove trovavasi legato il povero babirussa. Era giunta a venti passi dalla vittima, quando tornò ad arrestarsi e s’alzò di colpo girando degli sguardi inquieti. Si era accorta della presenza dei cacciatori? Era probabile, poichè alzò la testa verso il tamarindo, emettendo un sordo brontolìo.

– Fuoco!... – gridò Held.

Due spari rintronarono formando quasi una sola detonazione. La tigre fece un balzo immenso, lanciando la sua formidabile nota rauca, poi fece un brusco voltafaccia e scomparve nel suo macchione, prima ancora che la freccia mortale di Sulinari potesse toccarla.

– Tuoni!... – urlò il soldato. – L’abbiamo sbagliata!...

– No – disse Held. – L’abbiamo toccata, ma forse non mortalmente.

– Sì – confermò Sulinari. – La tigre è ferita: udite!...

La fiera, rintanatasi nella macchia, in mezzo alla quale doveva avere il suo covo, emetteva delle rauche urla.

– Morrà?... – chiese il soldato.

– Se non morrà andremo a finirla – disse l’olandese. – Ecco l’alba che spunta: possiamo scendere e andarla a scovare.

– Ci balzerà addosso, signor Held.

– Ma noi saremo più pronti a far fuoco. Forse l’abbiamo ferita gravemente e non potrà spiccare salti tanto lunghi. Ci accompagni, Sulinari?