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d’una seconda montagna di acqua, poi ricadde con tale impeto, da atterrare violentemente tutte le persone che lo montavano.

Gli alberetti, dopo una brusca oscillazione innanzi ed indietro, precipitarono sul ponte con grande fracasso, trascinando con loro i pennoni e le vele.

Successe un istante di calma e di silenzio; perfino le onde, come se fossero soddisfatte della loro vittoria, tacquero. Poi ricominciarono i muggiti, gli scrosci ed i boati, e la nave, rotolata attraverso alle scogliere, si rovesciò impetuosamente sul fianco squarciato, sfondandosi per un lungo tratto ed addossandosi ad un’alta rupe che usciva dalle acque.

Quasi subito si udì O’Paddy, che diceva con voce beffarda:

– L’Oregon è liquidato!... Possiamo recitargli il De profundis!

CAPITOLO IX.

I Pirati.


L’Oregon era proprio liquidato, come aveva detto l’irlandese. Già semi-sventrato dalla tremenda speronata del Wangenep, ed ora sdruscito, fracassato dalle acute punte delle scogliere, non era più in grado di riprendere il mare non solo, ma nemmeno di subire delle riparazioni in un cantiere.

Era un rottame destinato a terminare i suoi giorni su quei bassifondi ed a venire demolito, brano a brano, dalle onde tempestose. O’Paddy poteva ben essere soddisfatto della sua triste opera.

Risollevatisi dopo quel fiero urto, il soldato, Held ed i due giovani ereditieri si erano lanciati verso la murata di tribordo per rendersi conto della situazione, mentre O’Paddy ed il malese cercavano d’arrampicarsi sulla grande rupe, per meglio scorgere la costa.

Bastò un solo sguardo per convincere i naufraghi che l’Oregon, almeno pel momento, non correva pericolo alcuno. Incassato fra le scogliere, solidamente trattenuto dalle punte rocciose che gli erano entrate nella carena, non subiva più alcuna scossa, nè dalle onde poteva venire levato di là.