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i naviganti della meloria 121

— Non possiamo ingannarci. Vedete che questo povero corpo è coperto di ustioni.

— Che sia un italiano?

— Ho i miei dubbi, Vincenzo.

— Da cosa lo arguite?

— Dai suoi lineamenti ed anche dalla tinta dei suoi capelli. Mi sembra più uno slavo che un italiano.

— Allora non può essere stato che Simone a condurlo qui.

— Comincio a sospettarlo.

— Che si sia salvato quel furfante?

— Chi può dirlo?

— Bisogna cercare ancora, dottore.

— Perlustreremo il bacino.

— Avete misurato il fondo? — chiese Vincenzo, volgendosi verso i due pescatori.

— Sì — rispose Michele. — Non vi sono che cinque piedi d’acqua.

— Imbarchiamoci.

— E di questo cadavere che cosa ne faremo? — chiese Roberto.

— Non abbiamo picconi per scavare una fossa fra questi strati di carbon fossile — disse il dottore. — Lasciamolo dove si trova.

Salirono sulla scialuppa, accesero un’altra lampada di sicurezza che collocarono a poppa e presero il largo sondando di tratto in tratto le acque.

Quell’esplorazione non diede dapprima alcun risultato, però essendosi diretti verso la spaccatura che metteva nel canale, videro galleggiare qualche cosa a pochi passi da una roccia carbonifera.

— Un altro cadavere! — esclamò padron Vincenzo, prendendo un rampone.

Non si era ingannato. Quel secondo annegato era uomo sulla cinquantina e indossava pure delle vesti di grosso panno turchino. I suoi capelli, brizzolati erano semiarsi e il suo volto era ridotto in uno stato miserando.

Aveva perduto perfino un occhio e porzione del naso.

— Non è Simone — disse padron Vincenzo, lasciando ricadere il cadavere. — Che noi ci siamo ingannati?

— Quegli uomini erano tre — osservò Roberto. — Bisognerebbe trovare anche l’ultimo per essere certi di non aver avuto da fare collo slavo.

Ripresero le ricerche, facendo parecchie volte il giro della miniera, poi convinti che l’ultimo avesse potuto sfuggire alla catastrofe, ritornarono nel canale.

Avevano appena oltrepassata la spaccatura, quando si udì Michele a gridare:

— Ancora il fanale rosso!