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136 Capitolo XII.


CAPITOLO XII.

Sull’Atlantico.

In sette giorni, quella macchina meravigliosa era passata dai nebbiosi e gelidi climi del nord a quelli secchi e ardenti delle regioni tropicali.

I naviganti dello Sparviero a poco a poco, di passo in passo che scendevano verso il sud, si erano sbarazzati delle loro pesanti vesti, fino a ridursi quasi in maglia, senza averne risentito pericolosi effetti.

L’Atlantico si spiegava dinanzi a loro colla sua splendida tinta azzurro-cupa e colle sue imponenti correnti marine circolanti sotto l’Equatore.

Nel momento in cui perdevano di vista la costa africana, sfumata rapidamente in mezzo ad un tramonto di fuoco, nessuna nave solcava l’oceano. Solamente degli uccelli marini, occupati a pescare ed a dare la caccia ai pesci volanti, apparivano sull’azzurra superficie, descrivendo dei voli fulminei.

Lo Sparviero, non avendo più nulla da temere di essere da un momento all’altro scoperto, era disceso verso l’oceano fino a centocinquanta metri, onde permettere ai naviganti dell’aria di ammirare le bellezze che poteva offrire quella sconfinata superficie, sulla quale di quando in quando si mostravano numerosi pesci, per lo più pesci-cani e delfini.

Ammassi di alghe cominciavano ad apparire qua e là, strappate senza dubbio alle correnti da quel famoso mare dei Sargassi così temuto dagli antichi naviganti, e che lo Sparviero doveva incontrare molto più tardi, al sud delle isole del Capoverde.

In mezzo a quelle piante acquatiche si mostravano numerosissimi pesci, trovandosi forse là più sicuri contro gli assalti dei feroci pesci-cani.

Abbondavano soprattutto i diodon, pesci strani delle zone torride, che hanno l’abitudine di navigare col ventre all’insù e d’ingoiare una certa quantità d’aria diventando così rotondi come palloni.