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I drammi del mare 309

CAPITOLO VIII.

I drammi del mare.

Udendo quel grido, tutti si erano curvati sopra le balaustrate, guardando verso la direzione che il cosacco indicava con un braccio teso.

Alla luce intensa dei lampi, poterono scorgere senza alcuna fatica, un grande veliero che aveva ritto ancora un solo albero, con due vele sbrindellate dalla furia del vento e due tronconi, quello di maestra e quello di mezzana, spezzati all’altezza delle coffe.

Sbandato sul tribordo, andava attraverso alle onde senza direzione alcuna.

Formidabili colpi di mare spazzavano di quando in quando la sua coperta, impedendo ai naviganti dell’aria di accertarsi se quella nave era abbandonata o se aveva ancora a bordo dei marinai.

— Un barco!... — aveva esclamato l’ex-comandante della Pobieda.

— E che ormai non governa più, se non m’inganno, — aggiunse Ranzoff.

— Non ha più velature, né alberatura e forse ha anche perduto il timone.

— Che vi sia della gente a bordo? — chiese Wassili.

— Le onde lo spazzano da prora a poppa e perciò non sarà facile accertarcene, per ora, — rispose Boris.

— Si potrebbe fare qualche segnale, — disse Ranzoff. — Se vi è qualche essere vivente risponderà. Ursoff, è sempre carico il pezzo?

— Sì, capitano.

— Spara un colpo. Vediamo se lanciano qualche razzo. —

Il timoniere, che era anche l’artigliere dello Sparviero, fece tuonare il pezzo, approfittando d’un istante in cui la burrasca taceva per riprendere probabilmente nuova forza.

La detonazione rimbombò lungamente fra gli avvallamenti delle onde, ma nessun segnale partì dal veliero.

— Forse l’equipaggio si sarà rifugiato sotto coperta e non oserà