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L’uomo doveva finalmente vincere. Il cavallo, sfinito, lordo di sangue e di schiuma sanguigna, dopo aver tentato tutti i mezzi per liberarsi dal cavaliere che gl’imponeva a colpi di sperone la propria supremazia, dopo aver percorso come un pazzo il campo di cactus coprendosi di ferite, di essersi gettato a terra una dozzina di volte, di aver tentato di spezzare le briglie con furiosi colpi di testa, cominciò ad ubbidire, mettendosi a galoppare meno disordinatamente, piegando ora a destra, ora a sinistra, secondo lo desiderava il gaucho. Dopo una mezz’ora trottava come un cavallo perfettamente domato e ubbidiva quasi a perfezione. Ramon, soddisfatto, lo spinse verso i compagni e, balzato agilmente a terra, lo fece cadere, legandogli le gambe colla manca.
— Bravo! — esclamò il mastro, stringendogli energicamente la destra. — Siete, e ve lo dice un uomo che ha percorso il mondo in lungo e in largo, il più ardito e valente cavaliere che io abbia veduto fino ad oggi.
— Tutti i gauchos sono come me, — rispose Ramon. — Ora a te, Pedro.
Il taciturno gaucho liberò il secondo cavallo, lo sellò, poi balzò in arcione. La lotta non fu meno ostinata dell’altra, ma anche questa volta l’uomo trionfò completamente e ricondusse il selvaggio figlio del deserto quasi ammaestrato all’accampamento.
— Per domani tutti e due saranno pronti a marciare, — disse Ramon. — Un’altra prova, e poi basta.
— La farete subito? — chiese Cardozo.
— Prima di sera. Intanto voi dovreste battere i dintorni onde cercare il pranzo.
— Infatti mi scordavo che la nostra dispensa è perfettamente sprovveduta e che gli albergatori si tengono lontani da questi luoghi. Ehi! Marinaio, prendi il fucile e facciamo una passeggiata.
— Ben volentieri, figliuol mio. Sento qui dentro qualche cosa che mi tenaglia lo stomaco. Deve essere fame bella e buona.
— Andiamo dunque a cercare una dozzina di costolette.
— O almeno un buon arrosto d’uccelli.