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III.

Le casse del capitano Candell.


A

l comando dato dall’intrepido capitano Candell di «avanti a tutto vapore», il Pilcomayo aveva raddoppiato la corsa, mettendo la prua all’imboccatura del Rio della Plata. Filava con una velocità di quattordici nodi, cosa non comune a tutte le navi, specialmente in quei tempi, e che doveva procurargli un immenso vantaggio sulle navi degli alleati, di cui le più veloci non sorpassavano i dodici.

Il suo equipaggio, da tre notti preparato alla pugna e formato tutto di persone che avevano già dato prove di non dubbio valore, era a posto di combattimento: i fucilieri dietro le murate colle carabine in pugno e la sciabola d’arrembaggio al fianco e gli artiglieri attorno al grosso pezzo, posto in batteria sulla torretta corazzata, e dietro la mitragliatrice.

Il capitano sul ponte di comando, col portavoce in una mano e un revolver nell’altra, aveva a fianco i suoi ufficiali, mentre mastro Diego si teneva ritto dietro la ruota del timone, pronto a virare di bordo o a dirigere l’incrociatore dentro la foce del Rio.

Un profondo silenzio regnava sul legno, rotto solamente dai colpi precipitati della macchina e dai muggiti del vapore.

Dopo i segnali fatti, nessun altro razzo aveva solcato le tenebre, né sul mare né sulla costa: però il nemico tutti lo sentivano vicino. Le navi segnalate parevano scomparse,