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il treno volante 99


— Guardati, Sokol! — gridò El-Kabir, mentre i due europei si precipitavano sui fucili che stavano appoggiati su una cassa.

Il negro, udendo quel grido, si era voltato. Vedendo il sultano con la scimitarra alzata, fece un salto sottraendosi al colpo, poi si aggrappò alla scala di corda che stava per sfuggirgli.

Il Germania s’alzava rapidamente avendo Heggia gettato, un momento prima, un mezzo quintale di zavorra.

Il sultano, che pareva fosse improvvisamente impazzito, si era gettato verso la scala vibrando colpi furiosi di scimitarra.

Fortunatamente era giunto un momento in ritardo. Sokol, stretto alla scala, veniva portato in alto.

— Miserabile! — gridò Matteo, puntando il fucile verso il sultano, il quale si era dato a fuga precipitosa.

Anche El-Kabir aveva preso un mauser e mirava il fuggiasco.

Stavano per far fuoco, quando da una macchia di bauchinie videro una belva slanciarsi con un salto e cadere addosso al sultano.

Era un grosso leopardo, la belva ferocissima molto comune nelle regioni dell’Africa centrale ed orientale.

Il sultano si era piegato sotto il peso della belva, poi era caduto al suolo, mentre le unghie dell’animale gli squarciavano il petto e la gola.

L’arabo ed il greco, quantunque si fossero armati per punire il traditore, fecero fuoco sul leopardo quasi contemporaneamente.

L’animale, fulminato, cadde sul corpo della sua vittima.

— Scendiamo! — gridò Matteo.

— È inutile — disse Ottone, il quale aveva puntato un cannocchiale sul sultano. — Sono morti entrambi.

— Andiamo almeno ad assicurarcene.

— Dovremmo sacrificare dell’altro gas e mi preme troppo conservarlo.

— Che brutta fine ha fatto quel povero sultano!

— Ne faranno un altro — disse El-Kabir.

Sokol intanto era rientrato sulla piattaforma. Il negro era ancora spaventato, più per l’assalto del sultano che per la scalata che aveva fatto a quell’altezza straordinaria, sospeso nel vuoto.