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il treno volante 165


— Heggia, lo hai veduto a muovere i cilindri? — chiese l’arabo al negro.

— Sì, padrone, un giorno l’ho veduto mentre cercava di far agire la valvola.

— Ah, miserabile Sokol! — esclamò l’arabo furibondo.

— Se anche gli altri cilindri sono vuoti, noi siamo perduti — disse Matteo.

— Lo verificheremo più tardi — rispose Ottone. — Il tempo ci manca ora. I Ruga-Ruga ci sono addosso.

— Come sfuggiremo al loro attacco?

Urla feroci soffocarono la risposta del tedesco. I negri non erano che a duecento passi dal Germania il quale era allora a soli cinquanta metri dal suolo.

Due o tre colpi di fucile rimbombarono in mezzo alle erbe e alcune palle fischiarono sopra la piattaforma troncando una corda metallica.

— Amici — gridò il tedesco, — rispondete al fuoco!

L’arabo e Matteo avevano già impugnate le armi. Con due fucilate gettarono a terra due guerrieri, i più vicini.

I Ruga-Ruga, vedendo cadere i loro compagni, invece di fuggire balzarono innanzi, urlando come bestie feroci.

Ottone, aiutato da Heggia, prese il cilindro di acciaio che pesava non meno di quaranta chilogrammi e lo gettò nel vuoto, poi fece precipitare una cassa contenente delle bottiglie in gran parte vuote e tutta la provvista d’acqua.

Il Germania, scaricato di circa novanta chilogrammi, fece un balzo in aria, salendo a quattrocentocinquanta metri, altezza sufficiente per metterlo fuori di portata dai vecchi fucili dei banditi. I Ruga-Ruga, vedendosi sfuggire la preda mentre credevano ormai di averla quasi in mano, proruppero in urla terribili e scaricarono le loro armi facendo solamente un baccano assordante.

— Sgolatevi, canaglie — disse Matteo. — Le vostre palle non giungono a noi e tanto meno le vostre frecce.

— Ricadremo presto — disse Ottone. — I nostri palloni cen-