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L’Uomo di fuoco. 191

— Egli si lamenta che i due pyaie non proteggono, come dovrebbero, la tribù, — rispose il ragazzo. — E mi dice di avvertirvi che se non ucciderete quel terribile serpente, vi mangerà.

— Diavolo! — esclamò Alvaro, un po’ impressionato. — Che la carne bianca lo tenti? Già non mi tenevo molto sicuro anche colla carica impostaci. Di che cosa si tratta dunque?

— D’un terribile serpente che ha già divorato cinque guerrieri della tribù, — rispose il ragazzo.

— E che cosa si vorrebbe da noi?

— Di fare degli scongiuri onde il rettile ritorni nella savana da cui è uscito o che lo uccidiate.

— Una cosa molto facile a farsi, — rispose Alvaro. — Gli è che ci mancano i nostri amuleti.

— Quali? — chiese il ragazzo, dopo d’aver scambiato alcune parole col capo.

— Quando ci hanno fatti prigionieri noi avevamo degli amuleti possenti che gli Eimuri non ci hanno più restituiti.

Che ce li portino e noi andremo a uccidere quel terribile serpente che minaccia la distruzione della tribù.

— Li avrete, — rispose il ragazzo. — Il capo li ha conservati e ve li consegnerà.

— Quando dovremo andare ad uccidere il serpente?

— Questa sera, non mostrandosi mai di giorno.

— Dirai al capo che i pyaie saranno pronti e che il serpente non divorerà più gli uomini della sua orda. —

L’Eimuro, visibilmente soddisfatto per quelle risposte, si ritirò assieme al ragazzo, facendo un inchino più profondo di prima e leccando il pavimento della capanna.

— Garcia! — disse Alvaro, quando furono soli. — L’occasione che aspettavamo è venuta, e, se non saremo capaci di approfittarne, dovremo rinunciare per sempre a riacquistare la libertà.

Io sono pronto a tentare la sorte od a fare un gran colpo. Non sarà il serpente che cadrà, bensì il capo di questi mangiatori di carne umana, dovesse poi farmi inseguire attraverso tutto il Brasile.

— Che ci restituiscano il fucile?

— Me l’hanno promesso e poi non s’immaginano di certo che sia un’arma ben più terribile delle loro mazze e delle loro frecce.

— Ed è il serpente?