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L’aldèe dei Tupy. 281

tando attentamente e guardando in tutte le direzioni, poi si alzarono.

— Devi esserti ingannato, — disse il marinaio.

Interrogò Rospo Enfiato che pareva ascoltasse ancora.

— Hai veduto nulla? — gli chiese.

— No, — rispose l’indiano, — ma Rospo Enfiato ha udito.

— Che cosa?

— La sabbia dell’aldèe a stridere.

— Io nulla ho udito.

— L’indiano delle foreste percepisce i menomi rumori, — rispose il Rospo. — Anche il serpente che striscia non sfugge ai suoi orecchi.

— Che cosa fare?

— Non siamo qui venuti per passeggiare, — disse l’indiano. — La mia gravatana ha la sua freccia avvelenata e volerà silenziosamente verso il Tupy che ci spia.

Con un gesto imperioso fece cenno al marinaio di non muoversi e si allontanò senza produrre il menomo rumore.

Attraversò lo spazio che separava i due carbet poi scomparve dietro un angolo.

Passarono alcuni istanti d’angosciosa attesa, poi un grido rauco e selvaggio ruppe improvvisamente il profondo silenzio che regnava nell’aldèe dei Tupy.

Un uomo, un indiano, si era slanciato verso la piazza, tenendosi ambo le mani strette alla gola. Fu veduto barcollare poi stramazzare pesantemente al suolo, mentre dai carbet uscivano vociferando spaventosamente i guerrieri del villaggio.

— Fuggiamo! — gridò il marinaio.

Rospo Enfiato tornava verso di loro correndo come un cervo. Dei Tupy lo inseguivano agitando le mazze.

— L’ho colpito troppo basso, — ebbe appena il tempo di dire a Diaz.

Si erano slanciati tutti tre attraverso i carbet, preceduti dal ragazzo, ma i Tupy accorrevano da tutte le parti, dalla piazza e dalle capanne che s’appoggiavano alla cinta.

— Signor Viana, fate fuoco o siamo perduti! — gridò Diaz.

Sì, un colpo di archibugio solo poteva arrestare l’orda che stava per piombare su di loro e opprimerli.

Alvaro si volse e fece fuoco in mezzo ai Tupy che irrompevano dalla piazza.