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I lamantini dell'Orenoco 211

di pensare a loro, dà l’imbeccata ai più affamati delle altre, perchè sa che le compagne faranno altrettanto con tutti.

— Ah i bravi e buoni uccelli! Se gli uomini ne imitassero l’esempio!... Volevo abbattere alcuni di questi volatili, ma ora vi rinunzio, dottore, sarebbe una cattiva azione.

— Hai ragione, giovanotto.

Alle due, dopo una breve dormita all’ombra delle grandi palme, si rimettevano alla vela volendo, prima del tramonto, giungere alla foce del Meta che è il più grande affluente dell’Orenoco.

Le sponde tendevano a cambiare. Le grandi foreste si diradavano rapidamente ed apparivano delle terre basse, paludose, coperte in parte da acque pesanti, oscure, esalanti miasmi micidiali. Erano le pripris o meglio le savane tremanti, paludi senza fondo, ma coperte d’un terriccio mobile che inghiotte l’uomo che osa affidarsi su quei terreni acquatici. In mezzo a quelle acque nerastre, si vedevano contorcersi di quando in quando dei lunghi serpenti d’acqua e dei gimnoti, specie d’anguille che lanciano, sugli imprudenti che osano avvicinarle, delle scariche elettriche così potenti da rovesciarli e da paralizzarli per qualche ora. Sopra quelle pericolose paludi si vedevano invece volteggiare,