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Il supplizio d’un ladro nell’Ascianti 139

con una amabilità poco comune in quel popolo sospettoso e crudele, diede agli ospiti il benvenuto, ringraziandoli contemporaneamente dei regali.

— Siamo noi invece che dobbiamo ringraziarti, dikero, — rispose Alfredo in uegbè. — Senza il tuo pronto agire, i ladri sarebbero forse fuggiti.

— Contenevano dei tesori le tue casse?...

— No, — rispose prontamente il cacciatore, che conosceva l’avidità insaziabile di quei giudici. — Più che gli oggetti racchiusi nelle casse, mi premeva salvare la giovane negra.

— Non te la ruberanno più, poichè uno dei ladri è stato ucciso, il secondo è fuggito, ma spero che lo ritroveranno ben presto, ed il terzo è in mia mano e non uscirà vivo da Abetifi.

— Cosa vuoi farne di quell’uomo?...

— Lo uccideremo.

— Non ti chiedo tanto, dikero.

— È stato riconosciuto per una spia di Geletè, ed era qui venuto altre volte per farci forse sorprendere dai cacciatori di schiavi del Dahomey e quell’uomo morrà.

— Ma ti ho detto che non è necessario che quell’uomo lo si uccida. A me basta che rimanga prigioniero presso di te qualche mese.

— È un nemico e morrà, — disse il dikero, con incrollabile fermezza. — Così il nostro re vuole e se disobbedissi, Mensah mi farebbe tagliare la testa.

— Ma hai tu le prove che sia realmente la spia che tu cerchi.

— No, ma sapremo presto se egli è quello che io sospetto. Negherà, come ha negato di aver rubato le tue casse, ma l’odum mostrerà se è veramente colpevole. Ho già dato ordine che la prova abbia luogo stamane sulla piazza del mercato, dovendo essere pubblica. Vuoi venire?... Il ladro deve essere già stato condotto sulla piazza.

— Ma dov’è la giovane negra? Vorrei prima vederla.

— Dorme presso le tue casse. Era così stanca che non si reggeva in piedi.

— La rivedremo più tardi. Siamo pronti a seguirti. —

Il dikero, si era alzato invitando i suoi ospiti a seguirlo. Al difuori li attendevano dodici portatori con tre amache seguìti