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210 Capitolo ventottesimo

che i portatori sostenevano, avevano accese le loro sigarette e fumavano beatamente scambiando qualche parola con Urada o con Gamani che si erano collocati ai loro fianchi.

La via reale era davvero bellissima, larga tanto da permettere il passaggio a otto cavalli di fronte, ma composta d’una specie di minerale granuloso e rossastro che doveva stancare straordinariamente i portatori al pari dei terreni sabbiosi o ghiaiosi.

Una doppia fila di splendidi palmizi, la ombreggiava mentre al di là si estendevano immense pianure coperte da un’erba alta assai e fitta e da gruppi d’alberi, per lo più palme d’elais. Qualche volta però si vedeva giganteggiare anche la mole imponente d’un baobab.

Il drappello procedeva rapido, malgrado la pessima qualità del terreno. I portatori, uomini robustissimi ed abituati alle lunghe marcie, si avanzavano quasi correndo, scambiandosi di mezz’ora in mezz’ora.

Ben presto la regione, che dopo Kana era diventata deserta, cominciò ad apparire popolata. Sparsi sui pendii di quei grandi scaglioni o sugli altipiani, si vedevano popolosi villaggi e di quando in quando qualche forte costruito con grossi terrapieni e con alte e robuste palizzate. Probabilmente quei recinti fortificati dovevano guardare le vie che dall’est e dall’ovest mettevano capo alla capitale.

I portatori, giunti sull’ultimo altipiano, dopo una faticosa salita durata quasi tre ore, segnalarono Abomey, i cui bastioni di terra rossastra si disegnavano nettamente, a meno di due miglia. Urada, che si trovava presso all’amaca d’Alfredo, mostrò a questi una costruzione che doveva essere gigantesca e che s’alzava in mezzo alle cinte bastionate.

— Cos’è? — chiese il cacciatore, con una certa emozione.

— Il palazzo del re, — rispose Urada.

— Credevo che fosse quello dell’uomo che odio.

— Non si troverà lontano, padrone.

— Credi, Urada, che quell’uomo si troverà presente, quando verremo ricevuti dal re?...

— Sì, purchè si trovi ancora in città.

— Temi che non vi sia?...

— L’alta sua carica lo avrà forse costretto ad occuparsi dei prigionieri destinati alla festa dei costumi, e può aver lasciata momentaneamente la capitale per radunarli.