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36 Capitolo quinto

Visti ad una certa distanza sembravano vere maschere e salutavano i cacciatori con abbaiamenti interminabili, alternati a certi strani suoni paragonabili al rumore che produce una bottiglia quando viene stappata violentemente. Quantunque il portoghese, pure appassionato cacciatore, avesse un vivo desiderio di cacciare quei numerosi quadrumani che sono tutt’altro che cattivi, messi allo spiedo, continuava a seguire i compagni i quali affrettavano il passo per mettersi al riparo dai raggi cocenti del sole, che in quelle regioni producono sovente delle insolazioni fulminanti.

Giunti sotto i grandi boschi, Alfredo si orientò colla bussola che portava appesa alla catena dell’orologio e trovato il sentiero che conduceva al fiume, vi si lanciò in mezzo, non essendo possibile un passaggio attraverso i fitti vegetali che lo fiancheggiavano.

Procedeva però con prudenza, temendo che i negri che l’avevano assalito presso le rive del fiume, non avessero ancora abbandonati quei boschi. Di tratto in tratto s’arrestava per tendere gli orecchi o mandava innanzi Asseybo a esplorare certi macchioni che si prestavano per un agguato, oppure deviava quando trovava qualche altro passaggio.

Tutto però indicava che la grande foresta doveva essere deserta. Gli uccelli cantavano tranquillamente e le scimmie si trastullavano sugli alberi senza dare segni d’inquietudine e ciò indicava che nessuno li aveva disturbati.

Alle dieci del mattino, dopo una breve sosta e un’ultima esplorazione del negro, Alfredo ed il portoghese giungevano presso il gigantesco sicomoro sotto il quale avevano trovato il cappello del povero Gamani, il servo rapito dai dahomeni.

— Ci siamo, — disse Antao.

Alfredo accostò le mani alle labbra e lanciò un fischio prolungato. Quasi subito, in mezzo al bosco, si udì una voce di donna gridare:

— Eccomi, padrone!...