Pagina:Salgari - La Sovrana del Campo d'Oro.djvu/226

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occhi che brillavano come quelli dei gatti, i due uomini, soffiando e mandando di tratto in tratto un sordo mugolìo.

Poichè era stato costretto a gettarsi verso il burrone per sottrarsi alle randellate dell’ingegnere, si trovava ora senza ritirala: dinanzi a lui stavano i due americani che volgevano le spalle al margine della foresta.

— Che animale è quello, signor Harris? — chiese Blunt, che faceva molinello col suo bastone, per tenere la fiera a distanza.

— Un mitzli, come lo chiamano i messicani o meglio un coguaro.

— Pericolosissimo?

— Talvolta sì.

— Lo accoppiamo?

— Non provate i suoi artigli. Preferisco lasciarlo andare.

— Mi pare che non ne abbia alcun desiderio.

— Perchè gli chiudiamo il passo. Indietreggiamo verso il bosco senza perderlo di vista, quantunque non credo che abbia l’intenzione di ritentare l’assalto. Mi sembra più sorpreso di noi.

Continuando a far molinello coi bastoni, sì ritrassero sotto gli alberi. Il coguaro, che, dopo la dura lezione ricevuta, sembrava avvilito per non essere riuscito nel suo intento, appena si vide dinanzi uno spazio sufficiente per fuggire, con slancio improvviso si gettò nella macchia più prossima, che attraversò in due salti, poi scomparve nella foresta.

— Blunt, vi ha ferito?

— No, signor Harris. Mi ha lacerata solamente la casacca. Che mi avesse scambiato per un daino?

— Lo suppongo anch’io. Ordinariamente quegli animali, quantunque siano ferocissimi e robustissimi nonostante la loro taglia piuttosto piccola, non osano assalire l’uomo. Messi alle strette, invece, si difendono accanitamente e non temono di lanciarsi anche addosso ai cacciatori.

— Dove si teneva nascosto quel furfante?

— Su di un grosso ramo, — rispose Harris, — Andiamo, amico, mi preme sapere dove finisce questo Cañon.

Si rimisero in cammino, sempre costeggiando l’abisso, poichè non osavano più inoltrarsi sotto gli alberi per tema di fare un altro brutto incontro. Dopo altri dieci minuti, giungevano dinanzi all’enorme parete del Gran Cañon, che cadeva a picco da un’altezza di mille e cinquecento metri.

Là finiva il burrone che avevano fino allora seguito. Il torrente riceveva l’acqua, da una cascata, che precipitava di balza in balza, con fragore assordante.