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256 | Capitolo sesto |
S. A. R., Cagni ed il capitano Evensen, curvi sulle murate, guardavano i ghiacci, portandosi ora a babordo ed ora a tribordo, mentre i marinai, coi buttafuori, cercavano di respingere i ghiacci che continuavano a sollevarsi fino ai bordi.
Fortunatamente le pressioni a poco a poco cominciarono a scemare di violenza. Le detonazioni ed i muggiti si fecero più rari, le colonne e le piramidi, spinte fuori dal banco dalla forza delle pressioni, diroccarono un’ultima volta, poi si manifestarono qua e là dei crepacci che si allungavano in tutte le direzioni.
– Il pericolo è passato, – disse il primo macchinista al tenente Querini.
– Credete che le pressioni non si rinnovino?
– Pel momento no, signore, – rispose il giovane nostromo.
– Potevano guastarci la nave?
– Sfondarla, signore. Nessuna forza può resistere alle strette dei ghiacci.
– Possiamo essere contenti della nostra nave.
– Sì, signor tenente. Ha subìta la prima prova meravigliosamente, quantunque non abbia i fianchi rotondi come il Fram di Nansen, si è sollevata bene.
– Allora possiamo sperare che resista anche durante l’inverno.
– Lo sapremo più tardi, signore, – rispose Andresen, sorridendo. – Chissà quali pressioni dovremo subire più a settentrione. Ecco laggiù dei nuovi canali: forse passeremo.
La Stella Polare, sfuggita alla terribile pressione, aveva ripresa la corsa assalendo rabbiosamente i banchi.
Tutti avevano fretta di uscire da quelle strettoie e di raggiungere il mare libero.
Il capitano Evensen, pratico di quelle regioni, aveva data l’assicurazione che non si tarderebbe ad incontrare acque libere, e quel lupo di mare non doveva ingannarsi nelle sue previsioni.
Fino al 4 agosto la Stella Polare potè spingersi, faticosamente, verso il nord, passando di canale in canale e assalendo i ghiacci che la stringevano da tutte le parti, poi fu nuovamente arrestata verso l’80° di latitudine nord, nei pressi dell’isola Eaton, da imponenti ammassi di ghiaccio.