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50 capitolo quinto.


Si allontanò silenziosamente senza essere stato scorto e andò a sedersi a prua, ma i suoi occhi correvano sempre, però con diversa espressione, da miss Anna al signor Collin.

Cosa mai meditava in quel momento quell’enimmatico personaggio, sul cui viso si leggeva ad un tempo una strana tenerezza e si vedevan lampi d’un odio profondo? Gli avvenimenti dovevano fra breve dirlo.

Nel pomeriggio il vento crebbe di violenza, e il barometro si abbassò bruscamente, mentre le onde provenienti dal sud, si facevano più frequenti e sempre più alte. Si vedevano accavallarsi sull’orizzonte mostrando le loro creste coperte di candida spuma, e venivano a rompersi con violenza contro la Nuova Georgia, la quale rollava e beccheggiava vivamente.

Le tigri, quasi presentissero la vicinanza di una tempesta, si mostravamo assai inquiete, e già nella stiva si udivano incessantemente rintronare le loro rauche urla, facendo impallidire i marinai che non si erano ancora abituati a quegli sgradevoli concerti.

Il capitano per non lasciarsi cogliere alla sprovvista da quell’uragano che da due giorni andava raccogliendo le proprie forze, per scatenarsi chi sa mai con quale furore, fece imbrogliare le alte vele di pappafico e contro-pappafico e fece ammainare i coltellacci e gli scopamari che aveva fatti spiegare al mattino per guadagnare velocità. Non ancora soddisfatto, fece rinforzare i paterazzi e legare solidamente le imbarcazioni, la cui perdita poteva diventare funesta, e le gabbie delle tigri onde nel rollío o nel beccheggio non si rovesciassero spezzando le sbarre.

— Temi qualche tifone? — gli chiese Anna, che di rado lasciava la coperta della nave.

— Sì, e non ti nascondo che questo uragano mi dà molto da