Pagina:Sannazaro - Arcadia, 1806.djvu/103

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tello con sommo onore magnificati, ella esterminando ed umiliando annullò, e quasi ad estrema perdizione ricondusse. Oltra di ciò quante, e quali fossero le necessitadi, e gli infortunj, che lo avolo e ’l padre mio soffersero, lungo sarebbe a raccontare. Vengo a me adunque, il quale in quelli estremi anni, che la recolenda memoria del vittorioso Re Alfonso di Aragona passò dalle cose mortali a più tranquilli secoli, sotto infelice prodigio di comete, di terremoto, di pestilenzia, di sanguinose battaglie nato, ed in povertà, ovvero, secondo i savj, in modesta fortuna nudrito, siccome la mia stella e i fati vollero, appena avea otto anni forniti, che le forze di Amore a sentire incominciai, e della vaghezza di una picciola fanciulla, ma bella e leggiadra più che altra che vedere mi paresse giammai, e da alto sangue discesa, innamorato, con più diligenzia, che ai puerili anni non si conviene, questo mio desiderio teneva occulto. Per la qual cosa colei, senza punto di ciò avvedersi, fanciullescamente meco giuocando, di giorno in giorno, di ora in ora più con le sue eccessive bellezze le mie tenere midolle accendeva; intanto che con gli anni crescendo lo amore, in più adulta età, ed alli caldi desii più inclinata pervenimmo. Nè per tutto ciò la solita conversazione cessando, anzi quella ognor più domesticamente ristringendosi, mi era di maggiore noja cagione. Perchè parendomi l’amore, la benivolenza, e l’affezione grandissima da lei portatami non essere a quel fine, che io avrei desiderato; e conoscendo me avere altro nel petto, che di fuori mostrare non mi bisognava; nè avendo