Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
112 | l'istoria del concilio di trento |
non poteva metter mano, senza tanta solennitá precedente.
Per questa causa non fu concesso che dalli vescovi si facesse
se non in pubblico, con le vesti sacre e, quello che piú
importava, con assistenza di dodici vescovi nella degradazione
d’un vescovo, di sei in quella d’un prete, di tre per un diacono, li quali con paramenti pontificali fossero presenti. E
parendo cosa ardua che al vescovo, quale senza compagnia
diede il grado, non sia concesso il solo far mostra di levarlo,
papa Innocenzo III levò la maraveglia con una massima che
non ha maggior probabilitá, dicendo che li edifici temporali
con difficoltá sono fabbricati e con facilitá destrutti, ma li spirituali, in contrario, con facilitá edificati e destrutti con difficoltá. Il volgo teneva la degradazione per una cosa necessaria,
e, quando accadeva, vi concorreva con indicibile frequenza.
Gli uomini dotti conoscono il fondo, perché avendo statuito
che nella collazione dell’ordine s’imprima un segno, chiamato
carattere, nell’anima, il quale sia impossibile scancellare, e però
non levandosi con la degradazione, quella resta una pura ceremonia fatta per riputazione. In Germania per la raritá de’ vescovi non si poteva fare senza una spesa immensa, a ridur in un
luoco un tanto numero. E quei prelati tedeschi, che in concilio
erano per la maggior parte principi, conoscevano piú di tutti
quanto fosse necessario per esempio castigare nella vita la
sceleratezza de’ preti, onde facevano instanza che si vi provvedesse. Fu assai discusso questo particolare, e in fine risoluto di non mutar la cerimonia in alcun conto, ma trovar
temperamento che la difficoltá e la spesa fossero moderate.
Il legato, se ben ogni settimana aveva dato conto a Roma di tutte le occorrenze, nondimeno volse stabilire in congregazione le minute delli decreti, per poterne mandar copia e ricever la risposta inanzi la sessione: onde, redutta la congregazione generale, non facendo menzione di quello che da Roma li fosse scritto, fece relazione di quanto gli era stato dal conte di Monfort rappresentato, soggiongendo parerli ragionevole la petizione del salvocondotto e la dilazione di quello che con dignitá si poteva differire; perché, avendo giá