Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. III, 1935 – BEIC 1917972.djvu/419

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nota 413


indulgente del nostro) si affermava, quasi per una parola d’ordine, l’identitá fra il manoscritto e le stampe e l’inutilitá d’un ulteriore, preciso raffronto. Non credo quindi sia azzardato il pensare che quell’affermazione servisse ad allontanare dal codice la curiositá indagatrice degli studiosi, per motivi non certo letterari. L’opera, venuta alla luce con sí grave scandalo e colpita pochi mesi dopo dalla condanna all’indice, ha tutta una storia di costanti ed aspre avversitá da parte della Chiesa. Le varie edizioni, per ben due secoli, si seguono sempre in paesi non cattolici; persino quella uscita nel territorio della Serenissima maschera il luogo di stampa (Verona) con altro straniero (Helmstat). Conviene giungere alla fine del Settecento perché, nella patria del Giannone, nel fervido periodo delle riforme politiche rivolte a circoscrivere l’ingerenza religiosa, l’abate Selvaggi pensi liberamente ad una ristampa del Sarpi. Ma anche questa edizione suscitò le proteste dell’autoritá ecclesiastica, sicché una parte dell’opera usci clandestinamente; e piú tardi, quando, per reazione agli eccessi rivoluzionari di Francia, di fronte al comune pericolo, Roma ed il Regno si riaccostarono, la vendita dell’opera fu sospesa e ne vennero sequestrati molti esemplari, non senza propinare anche l’antidoto d’una ristampa dello Sforza Pallavicino.

Difficoltá non meno gravi incontrò, alcuni decenni dopo, l’edizione di cui fu anima il Bianchi Giovini. Era sua intenzione che la Tipografia Elvetica di Capolago, di cui egli era magna pars, ristampasse l’Istoria ed altri scritti del Sarpi (egli vi aveva giá curata una scelta di lettere inedite)1. Sennonché, avutone sentore l’austriacante e intollerante vescovo di Como, monsignor Carlo Romanò (il suo nome ci richiama l’eroica figura del Dottesio), tanto egli si adoperò presso l’amministratore capo dell’Elvetica, che questa dovette rinunziare all’iniziativa. Ma altri della tipografia medesima, costituita una fittizia «societá di persone amiche delle lettere», se ne assunsero l’impresa, affidando la stampa dell’opera alla tipografia Borella di Mendrisio. Questa volta il vescovo ricorse al Consiglio di Stato di Ticino perché impedisse la ristampa del Sarpi2; ma quel Consiglio, dopo avere risolto in un primo

  1. Scelte lettere inedite di Frà Paolo Sarpi, Capolago, Tipografia Elvetica, 1835.
  2. La lettera del 19 giugno 1835 è riferita da G. Martinola, Appunti storici sulle tipografie mendrisiensi «Angelo Borella» e «Della Minerva Ticinese», Mendrisio, Stucchi, 1933.