Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/131

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giuochi, fanfaluche, e cena prolungata 75

chè ti stii zitto, a guisa di muto. Io ti prego, se mi vuoi bene, contaci qualche cosetta a tuo piacimento.

Nicerota, allettato della affabilità dell’amico, rispose: possa io divenir povero, s’egli non è già qualche tempo che io son contentissimo di vederti tal qual ti veggio. Ora dunque stiamcene pure allegri, benchè io abbia soggezione di codesti dottorelli, che rideranno. Ma non importa: io racconterò; perchè finalmente che mal mi fa un che rida? Egli è meglio far ridere, che esser derisi.

Queste parole avea finite, quando


incominciò quest’altro chiaccheramento.

Essendo io nella servitù, abitavamo in un viottolo, dove ora è la casa di Gavilla. Là, come piacque a Dio, presi amore alla moglie di Terenzio locandiere: voi dovete sicuramente conoscere quella bellissima baciucchiona di Melissa da Taranto. Ma non crediate perdio, che io la amassi carnalmente e per frascherie di Venere, ma sì perch’ell’era bene accostumata. Ella non mi negava mai cosa ch’io le cercassi. Quand’io avea uno scudo, due scudi, deponeali in sua mano, e quando mi abbisognavano, me ne servia. Avvenne che il marito suo morì in campagna, ond’io mi adoperai colle mani e co’ piedi per andarla a trovare, giacchè gli amici si conoscono all’occasione. Diessi il caso che il mio padrone sortì di Capua per andar a vendere con profitto alcuni suoi vecchi stracci. Approfittando io della congiuntura persuasi l’ospite nostro a venir meco per cinque miglia: era costui un soldato forte come il diavolo. Partimmo verso l’ora in cui cantano i galli; la luna splendea come il mezzodì; arrivammo dov’erano de’ sepolcri, e là il mio uomo si mise ad invocar gli astri, intanto che io canticchiando numerava le stelle. Volto poi lo sguardo sopra di lui vidi che si era spogliato, e posti tutti i suoi abiti in mezzo alla strada. Io presi paura, e stavami come morto. Ma egli pisciò intorno a’ suoi abiti, e subito dopo convertissi in un lupo.