Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/82

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26 capitolo settimo

polose, così ce ne andammo pe’ luoghi solitari della città, in uno de’ quali, essendo già sera, incontrammo due leggiadre femmine col velo,17 cui pian pianino tennimo dietro sino ad una cappella, nella quale entrarono, dove udimmo un susurro insolito, come di voci che uscissero dal seno di una caverna. La curiosità ci spinse ad entrar nel tempietto; e vi scorgemmo più donne a foggia di baccanti, che stringevano nella mano destra de’ rigogliosi priapi: ma non potemmo nient’altro osservare, perchè avendoci esse veduto, alzarono sì gran rumore, che ne tremò la volta del tempio, e tentarono di attrapparci. Ma noi scappammo velocemente all’albergo.

Appena ci sentivamo soddisfatti della cena, fattaci dalla attenzion di Gitone disporre, che udimmo battere con sonori colpi la porta; impalliditi chiedemmo chi fosse, e ci fu risposto: apri e il saprai. In questo mezzo, il chiavistello schiodatosi cadde, e così la porta diè accesso alla persona chiedente senz’altro ritardo. Ella era una donna col capo coperto, quella cioè che poc’anzi stavasi col villano, e voi, ci disse, voi vi credeste di farvi gioco di me. Ma cameriera di Quartilla son io, i cui riti, nella Grotta18 voi testè disturbaste. Ora qui ella stessa è venuta e cerca di potervi parlare. Non datevi pena però. Ella non vuole nè accusar nè punire la vostra insolenza; al contrario ella è sorpresa, nè sa qual Dio abbia in questa sua contrada portato sì amabili giovinotti.

Nulla erasi ancora per noi risposto, incerti del parere cui attenerci, quando colei accompagnata da una fanciulla entrò, e sedutasi sul mio letto pianse per un buon pezzo. Nè parola alcuna allor pure dicemmo, ma sorpresi attendevamo la fin delle lagrime, che tanto dolore manifestavano. Come quel torrente di pianto cessò, alzò il velo del maestoso suo viso, e congiunte le mani sino a farne iscrosciar le nocca: che ardire è codesto, diss’ella, e chi v’insegnò quelle menzogne e