Pagina:Scherzi morali del prof. Francesco Rapisardi, Catania, Pastore, 1868.djvu/36

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Un padron col servo è questi quà.
     – Se a lungo, Egisto, restar vuoi con me,
     Ciò ch’io bramo imparar ti converrà
     Giurando d’ubbidir per la tua fè:
     Custodito per ben voglio il segreto,
     Ogni inutile spesa a far ti vieto.
Economia.... capisci?…... e segretezza!
     M’intendi bene? I miei desir son questi.
     E giacchè nel donare ho l’alma avvezza
     Sempre so premiar gli uomini onesti,
     Segretezza.... capisci?.... economia!
     E tanto sul questo mio cor desia. —
L’uno e l’altro a parlar già pronti sono,
     Gli ordini del padrone ascolterete,
     E quanto il servo ad ubbidir sia buono,
     Con vostra meraviglia apprenderete.
     Eh! von son ole, veh! non son capricci,
     Non dò a vera beltà calor posticci.
– Alla meridïana, Egisto mio,
     Vanne a veder se mezzanotte è data. —
     — Subito andrò, ma che veder poss’io
     So da un’ora la luna è tramontata?
     — L’abbia d’ingegno un pocolin d’acume! —
     Oh! che fa mai? Teco ti porta un lume.
La diman come subito ebbe visto
     Splendere il sol per le celesti vie:
     — Vanne alla posta, e non tardare, Egisto,
     Gridò, dovrai trovar lettere mie. —
     Tosto il servo fedel giunge alla posta,
     E con precauzion lento s’accosta:
— Ci son lettere quì pel mio padrone?
     — Questo vostro padron come si chiama? —
     — Uh! bella! veh! mi crede un babbione
     Capace d’appagare ogni sua brama?
     Le lettere mi dia, chè io ben non so
     Altrimenti, o signor, quel che farò. —