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senso 271

— Affare di nervi — ; mi raccomandarono di far moto, di mangiare, di dormire e di stare allegra.

Eravamo alla metà dell’aprile ed oramai gli apprestamenti si facevano senza maschera: militari d’ogni sorta ingombravano le vie; marciavano i battaglioni al suono delle bande e dei tamburi; volavano sui loro cavalli gli aiutanti di campo; i vecchi generali, un po’ curvi sulla sella, passavano al trotto seguiti dallo Stato maggiore, baldo, brillante, caracollante. Quei preparativi mi riempivano di paure fantastiche. L’Italia voleva passare a fil di spada tutti quanti gli Austriaci; Garibaldi, con le sue orde di demonii rossi, voleva scannare tutti quelli che gli sarebbero capitati in mano: si presagiva un’ecatombe.

Avevo le furie in corpo: da Verona in sei settimane m’erano capitate quattro lettere sole. La posta si può dire che non esistesse più; bisognava consegnare, pregando e pagando, i fogli a qualcuno che, disposto ad affrontare gli ostacoli e gli interminabili ritardi del viaggio, avesse necessità e ardire di recarsi da un luogo all’altro. Io, non potendo più vivere nelle angoscie, in cui mi teneva notte e giorno il silenzio o volontario o innocente di Remigio, m’ero risoluta di tentare il viaggio; ma come fare senza che mio marito ne sapesse nulla? come fare io donna e sola e giovane e bella in mezzo alla brutalità