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macchia grigia 79

si contorce e si rimuta indecifrabilmente. È una cosa laida, una cosa volgare. Se si potesse annasarla, puzzerebbe. Sembra una larga pillacchera di fango; sembra una chiazza animata, una lacerazione purulenta che viva. È un orrore.

Non dico di vederla sempre. La vedo tutte le notti, ma più o meno a lungo, secondo la disposizione, non so se del mio animo o del mio corpo. Spesso, Dio volendo, appena comparsa sparisce.

Il terribile è che mi compare davanti all’improvviso, mentre sto pensando a tutt’altro. Stringevo al barlume di una lucerna morente la mano di una cara fanciulla, dicendole quel che non si racconta neanche a voi altri medici, ed ecco a un tratto la macchia che le sporca il seno. Mi sentii inorridire.

Anche di giorno s’io entro, mettete, in una chiesa buia, rischio di trovare quella sudiceria sotto l’ombra fitta dell’organo, sui vecchi dipinti affumicati, nel finestrello nero del confessionario. La paura di vederla me la fa scorgere più presto.

La notte non guardo mai impunemente l’acqua di un fiume o del mare. Andai giorni addietro a Genova. Era una bella sera, un resto d’estate. La vôlta del cielo tutta serena, tutta di una tinta appena digradata da ponente a levante con un po’ di giallo, un po’ di verde, un poco di paonazzo, mostrava nondimeno, quasi sull’orizzonte, una zona isolata di nubi