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La Conquista di Roma 11

nei capelli: l’altra mano si perdeva nello sparato dell’abito: gli occhi chiusi. Pure, il viso non aveva quella espressione molle dei muscoli che riposano, quella quietezza grave dei lineamenti umani nel sonno: invece, in tutte le linee, vi era la contrazione del pensiero. Quando il treno in partenza ebbe passato il ponte sul Volturno, e s’internò nella campagna deserta, nera, l’uomo riaprì gli occhi, cercò di mutar posizione per potersi addormentare più facilmente. Ma il rumore del treno, sempre uguale e continuo, gli martellava nella testa. Ogni tanto, nell’ombra, una casa colonica, un villino, una casetta cantoniera, sorgevano, oscurissime sul fondo oscuro: un filo sottile di luce trapelava dalle fessure, una lanternina accesa faceva come un circolo danzante di fiammelle, dinnanzi al treno che passava.

Egli pensò fosse il freddo che gl’impediva di dormire. Assuefatto alla mitezza delle notti meridionali, non avendo l’abitudine di viaggiare, era partito con un semplice e leggiero soprabito, senza coperta, senza sciallo, con una piccola valigia e un baule che lo seguiva, al bagagliaio. L’importante, per lui, non erano le vesti, nè le carte, nè i libri, nè la biancheria: era quella