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274 La Conquista di Roma

però, che la cosa era più grave di quello che gli era sembrata sino al giorno prima. Anche il giorno prima, egli aveva detto, così, con una certa noncuranza, al presidente del consiglio:

«Vi è molto rumore per quest’affare del municipio.»

«Calori estivi,» aveva risposto, sorridendo, il presidente.

«Ella è d’accordo con me?»

«D’accordo, naturalmente,» soggiunse l’altro, senza però stabilire su che cosa.

«Crede che il discorso di don Mario Tasca sarà importante?»

«Uno dei soliti discorsi.»

E si parlò d’altro. Gli altri colleghi si erano mantenuti in un grande riserbo: solo Vargas, il ministro delle belle arti, il vecchio asciutto e segaligno, disseccato da una divorante ambizione, aveva fatta qualche opposizione vaga, a cui aveva risposto vagamente il ministro dell’interno. Le cose erano restate lì. Ora, nella Camera, egli si accorgeva che la giornata sarebbe stata bollente. Sfogliando certe sue carte, con gli occhi bassi, egli sentiva, dal ronzìo parlamentare, che vi dovevano essere almeno quattrocento deputati: alzò