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La Conquista di Roma 333

bianco; altrove il carnicino mite e eguale, temperamento medio, temperatura media che nulla vale a rialzare mai; altrove il bianco opaco che il calore o l’emozione marmorizza qua e là, a placche di roseo; altrove ancora la carnagione nè bruna nè bianca, ma scura, come se il sangue fluttuante portasse seco un letto di sabbia nera; altrove ancora, il carnicino vivo, bello, attraente, simile alla densità grassa di un petalo di magnolia, simile alla polpa nutrita di un frutto maturo.

Questa plasticità germogliava dai corpetti, come se si sprigionasse delicatamente da un legame; fioriva dalla strettezza delle spalline, dall’arricciatura del velo, come dal calice; aveva qualche cosa di rigoglioso, di spontaneo, come le bellissime generazioni del mondo vegetale. Questa plasticità ripetuta su tutti i toni, trecento volte, finiva per acquistare un generale carattere di bellezza, d’insieme, come è la bellezza di una grande foresta: l’individuo vi scompariva, la personalità era assorbita.

Nulla più che parlasse febbrilmente all’occhio, nulla più che turbasse la fantasia, più nulla che inducesse alla particolar seduzione: ma invece la grande nota della bellezza femminile, presa in