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38 La Conquista di Roma

ne, di calamai, di matite, per gli studiosi, erano deserti.

In qualche angolo di stanza, innanzi a uno scaffale semivuoto, arrampicato sopra una scala, l’erudito deputato bibliotecario, il dantofilo paziente dalle sopracciglia nere, che sembravano tracciate da un colpo di carbone troppo forte, rovistava fra i libri, furiosamente, con la passione per quella biblioteca, che egli aveva tratta dal disordine in cui giaceva. Nemmeno si voltava, l’onorevole deputato bibliotecario, al passo cauo dell’onorevole Sangiorgio: o, accorgendosene, si voltava e lo guardava con un paio d’occhi nerissimi e vivi, ancora sbalorditi e pregni della ricerca letteraria che stava facendo.

Francesco Sangiorgio, di nuovo imbarazzato, come un disturbatore, messo in soggezione da quel silenzio e da quello sguardo stralunato del bibliotecario, camminava anche più adagio, e nell’ultima stanza si metteva a leggere i titoli delle nuove opere, a uno a uno, sbalordendosi di tutta quella scienza amministrativa, economica, politica, che era accumulata in quelle scansie. Poi, per non parere, prendeva un volume del Buckle, Storia