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una catastrofe. | 357 |
cifre ballavano la ridda nella sua testa, egli pensava che ci voleva una somma favolosa per liberare Riccardo Joanna da tutti i suoi debiti. Due o tre altri ne vennero, volta a volta umili o impertinenti, chiacchieroni, lunghi, ripetenti continuamente la stessa canzone, anch’essi: era il meccanico che aveva messo il gas, nell’altro ufficio: era il negoziante di vini, che aveva fornite molte bottiglie di champagne, per una cena d’inaugurazione: era un creditore del redattore capo, che lo mandava dal direttore Joanna, il quale lo rimandava al redattore, come il Cristo da Erode a Pilato. Venne anche un altro sarto: e Joanna s’imbrogliò, lo confuse con l’altro, che aveva trovato sulla porta, ne nacque una lite, perchè l’altro aveva avuto dodici lire in acconto, e costui non aveva avuto mai nulla.
“Quando debbo ritornare?” finiva per chiedere il creditore, esausto, disperato.
E la risposta, fiduciosa, superba, era immancabilmente:
“Domani.”
Il creditore se la faceva ripetere, sempre: e si aggrappava a questa parola, a questo uncino, se ne andava, con una speranza. Ma in questo l’usciere entrò, trascinando il passo, sonnacchioso.