Pagina:Sercambi, Giovanni – Novelle, Vol. I, 1972 – BEIC 1924037.djvu/209

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novella xlv 209

andasse innel campo, et apressandosi a Anibale quello uccidesse. Ucciso il capo, li altri varanno poco. E per questo modo saremmo salvi». Udito tal consiglio, subito molti si levarono, infra’ quali fu uno chiamato Formione e disse che quella opera farà lui.

Era, in quel campo che questo fatto si fece, di verno, che stando Anibale al fuoco con molti baroni onorevolemente vestiti, intorno a uno fuoco, il preditto Formione giunse quine u’ erano li baroni. E non cognoscendo Anibale, vedendo uno barone onorevole più che gli altri vestito, di quel coltello li diè per lo petto e morto l’ebbe. Anibale, che questo <vidde>, disse: «Che vuol dire questo? Chi se’ tu?» Lui disse: «Sono Formione romano, il quale per liberare Roma ho ucciso Anibale e non curo omai morire». Anibale udendo disse: «Tu non hai morto Anibale, ma uno altro in suo luogo morto hai». Formione disse: «Ben che morto non sii, non potrai scampare, però che più di mille hanno deliberato morire per ucciderti se da Roma non ti parti. E perché la mano mia fallìo a non dare a te, e ne patirà prima la pena». E subito in presenzia di Anibale e d’altri quella mano in sul fuoco misse, e non mai ne la levò che fine al braccio fu arsa. Anibale, vedendo la costanza del Romano e l’ordine preso tra loro, disse: «Per certo io dalla morte campare non potrei». Deliberando per quella volta partirsi et altra volta col suo esercito ritornare.

E per questo modo Roma fu dall’asedio libera per lo buono Formione romano.

Ex.º xlv.