Pagina:Sermoni giovanili inediti.djvu/152

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148 sermone decimoquinto.

     A sè le allegre genti, or fatto ameno
     Il varïato e rapido lavoro,
     Onde la scelta, il modo, il tempo spetti
     Dettare all’infallibile e supremo
     155Nume terrestre, ch’entro a folta nube
     Ascoso, a un cenno del crollato capo,
     Vedrà prostrarsi le soggette turbe.
Nè qui della stupenda opra compiuto
     È il mirabile intreccio. Infeste gare
     160Non sorgeranno a disturbare i sogni
     Del fortunato eliso, ove ciascuno
     Vivrà contento alla gioconda manna,
     Che il benefico nume equo comparta.
     Non più sui letti maritali infauste
     165Tede risplenderan con fosca luce;
     Chè il lascivetto amor di loco in loco,
     Lieve agitando la volubil face,
     Caccerà in fuga le gelose larve
     E le cure pungenti. Alle felici
     170Madri, deposto di lor grembo il pondo,
     Pur si risparmi il vigilar molesto
     Sugl’importuni figli, a cui provveda
     Il portentoso Dio, che Stato ha nome.
All’alte maraviglie, oh! come umíle
     175Il dispregiato vero incontro appare.
     Chi primo di sudor bagna l’inculto
     Terreno, che per lui di bionda mèsse
     Ondeggia e ride, se ne coglie il frutto,
     Delle fatiche sue degna mercede;
     180Qual reca offesa all’invido compagno,
     Che vive colle man sotto le ascelle?
     D’ispidi dumi e di morte acque ingombra
     Sarà di nuovo la deserta gleba,
     Se alle rapaci voglie il fren si allenti