Pagina:Sermoni giovanili inediti.djvu/36

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32 sermone quarto.

Sì che il mesto color della vïola,
O il volto rancio della tarda aurora,
165O il verde imiti della fresca erbetta.
L’arte, che spreme il lubrico licore
Dai pingui semi e dal fecondo ulivo,
Od i cerati favi e l’importuna
Delle belve pinguedine costringe
170Le timide a fugar ombre notturne,
Apprende come delle uccise belve
La pelle tratta dall’immondo speco
Resista ai colpi del sonante piede,
O in delicati ninnoli si muti
175Il duro corno, e le minugie vili
In corde sottilissime vibrando,
Al dolce tocco di maestre dita,
Spargano intorno armonici concenti,
Onde la innamorata anima vola,
180O volar crede, a più beata sfera.
Opra dell’arte sono il bianco foglio
Che i segni porta del pensiero impressi,
E il nitido sapon ch’ogni sozzura
Terge, od il vetro fragile che nove
185Meraviglie discopre e novi mondi.
Tanto può l’arte umilemente altera,
Luridi cenci a trasformare intenta,
E rancide reliquie e poca arena!
Di amene valli e collinette apriche
190Vanto non meni e delle chiare fonti
L’abitator dell’italo giardino,
Finchè al tiepido Sole in grembo ai fiori
Il fianco adagia, e sonnacchiando aspetta
Che dal soffio gentil scosso di un’aura
195Gli cada il frutto maturato al piede.
Il sereno del cielo e il bel sorriso