Pagina:Serra - Scritti, Le Monnier, 1938, I.djvu/176

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alfredo panzini 129

grasso arrostito delle succose e fumanti braciuole». (E per chi voglia seguitare sull’argomento, ecco una digestione ornatissima: «L’umile stomaco, la spregiata bile, le pazienti glandole si erano messi all’opera quando io chiusi gli occhi al sonno»). Classico infine è il costume di fiorire i discorsi anche umili di motti e allusioni letterate; costume discreto del resto e parco, che non disconviene alla usata modestia dello scrittore. Il quale sa cavare un sorriso anche da quelle che potrebbero essere pedanterie; ma quale pedanteria più urbana di questa, che voglio citare per ultima: «Il pranzo fu rallegrato da squisite vivande dichiarate con breve chiosa dalla signora suocera»? E sembra a più d’uno che in queste qualità dello stile sommariamente indicate secondo grammatica, si possa trovare il segreto della sua piacevolezza; il contrasto nello scrivere fra gli argomenti tenui e la forma ornatamente composta risponde bene a quella forma di fuori pacata e rimessa che notavamo dell’uomo, ricco della sua anima di movimenti nuovi.

Così, dopo aver fatta l’analisi del sapore di questa prosa, non resterebbe se non mostrarne l’origine. Non c’è bisogno ora di molta finezza per nominare il Carducci.

lo voglio riportare sola una descrizione, del paese presso Superga: «Fra me e la cerchia cinerea delle Alpi correvano i fiumi come trame argentee d’un abito di fata invisibile: invisibile la fata, ma il dolce piano — dall’alpestre roccia onde, Po, tu labi e su cui l’aquila stride — alla torre di Teodorico presso il dolce mare, tutto si discopriva; onde io cominciai a ripetere: «lo dolce piano che da Vercelli a Marcabò dichina». E lo andava dicendo quel verso come una devota