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382 scritti di renato serra

sprezzare il dilettantismo del Carducci, così come, d’altronde, il più sciagurato dei versaioli si credeva lecito di maledire alla sterile pedanteria delle schede, ribellandosi in nome dell’arte che non aveva alla scienza che non conosceva. (Qualche cosa di quello stato d’animo si può trovare anche in un artista degno come il Panzini; certi eruditi sono la sua bestia nera. E si rivide al tempo delle Cronache Letterarie, più o meno retoricamente).

Se non che, ci son poi dei mutamenti notevoli. Il tipo scientitico impera ancora sulle cattedre e nei concorsi, per forza di uomini e clientele; ma ha perduto molto della sua autorità morale: le ricerche letterarie, anche fra i professori, non ne osservano più la legge unica e rigorosa; e se la osservano, sono poi valutate secondo il merito: una volta, bastava che un giovane mettesse nei suoi lavori quel tanto di pedanteria, di rusticità, e materialità piena di sdegnose rinunzie a ogni intelligenza, perchè gli fosse concesso di darsi l’aria di un genio: oggi, anche quelli che producono dei lavori di pura erudizione, lasciano intendere spesso, con una sorta di civetteria a rovescio, che lo fanno solo per necessità, per avere un titolo; ma se li lasciassero fare, sarebbe tutta estetica. (Per fortuna, non li lasciano fare).

Il tipo eroico del pedante candido e immenso, carico eli tanta dottrina che finiva per diventare una sorta di intelligenza — come un mucchio di ciottoli così enorme che si dovessero rotolare e nettare e arrotondare per il logorio spontaneo — il tipo di Rajna, insomma, non si produce più. Non è più imitato. C’è Rajna, appunto, venerato come un mito preistorico della nostra filologia, testimone dei tempi in cui l’Italia cominciò a col-