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158 parte prima - capitolo xix


idee, e dicevano: «Questa non è setta, né una parte, ma è consenso generale, è opinione pubblica, che vincerá ogni ostacolo ed anche Ferdinando».

Una mattina io passava in via Assunzione a Chiaia dove era il palazzo abitato dal ministro Delcarretto: ecco venire correndo a furia la carrozza coi soliti cavalli sbuffanti e il solito insolente cocchiere: entra nel portone, e mentre il ministro smonta corrono a lui una donna e quattro fanciulli vestiti a bruno, tenendo tra le mani una carta e chiedendo qualche cosa. Il ministro si ferma, e dá ordine ai servi di scacciarla, e fu villanamente scacciata la povera donna e quei suoi figliuoletti pallidi e sbalorditi: ella pianse, prese per mano i piú piccini, ed andò via. Io non seppi mai chi era quella donna, ma a quello spettacolo mi sentii rimescolare tutto il sangue, e dissi tra me: «Ne farò vendetta». Corsi a casa, presi le carte che stava scrivendo, mi ci messi sopra con nuovo ardore, e non le lasciai piú se non quando ebbi compiuta la Protesta del popolo delle Due Sicilie. L’idea di questo scritto mi venne a leggere i Casi di Romagna di Massimo d’Azeglio, e volli in esso fare come un quadro generale di tutte le miserie che il nostro popolo sofferiva da ventisette anni, e presentarlo come protesta a tutto il mondo civile, e dicevo chi era il re, chi erano i ministri, chi erano coloro che ci opprimevano. «Se perderemo la pazienza, e verrá il dies irae, sappiate che il torto non è nostro». La protesta fu scritta tutta da me, tranne una nota dove si parla del Rotschild, ed un capitoletto intitolato la cittá di Napoli, che vi furono aggiunti nella stampa da Giovanni Raffaele siciliano il quale ve le messe di suo capo, e senza dirmi niente: e mentre fu scritta nessuno ne sapeva nulla, tranne mia moglie a cui io leggevo lo scritto e chiedevo consigli affidandomi nel suo buon senno. Dico questo perché dipoi fu detto e scritto che fu compilata da molti, e alcuni si vantarono di averci messe le mani. Ed io la ricopiai sforzando il carattere: e dopo che l’ebbi ricopiata chiamai in mia casa Giuseppe del Re, Michele Primicerio, Mariano d’Ayala, e la lessi a questi tre