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racconto di mia moglie 275


del soldato ringraziammo Iddio che non eravamo scacciate con le armi. Quel giovine dabbene vedendoci tremare pel freddo ci fece entrare nella sua garitta, ch’era ben grande, e fremendo diceva: «Ha finito coi calabresi, ed ha cominciato coi napoletani. Io non posso farvi portare una sedia, né darvi un soccorso, perché appena il re vede fare un atto di umanita dice, che anche noi siamo della pasta, e guai a noi». «Lo so», dissi io, «lo so, oggi, e qui l’umanitá è peccato». Peppino ci fece sentire che non v’era da sperare per quella notte, e che bisognava aspettare il dimani.

Cercammo di trovare un albergo, ma nessuno volle ricevere le famiglie de’ condannati a morte. «Ma come», diceva Peppino, «non avete letti, non una stanza in un albergo cosí grande?» «Non abbiamo niente: ma voi chi siete, che venite da Napoli a quest’ora? che siete venuti a fare?» «A te che importa a sapere de’ fatti altrui?» «Non ho letti, andate via». Respinti da ogni parte, fermati in mezzo la piazza di Caserta, intirizziti dal freddo con cinque bambini, non sapevamo che risoluzione prendere, era passata la mezza notte, ci ricoverammo nelle carrozze. Ma il freddo grande, la puzza della stalla vicina, la stanchezza de’ corpi, i dolori che ci tormentavano, i tre bambini di Faucitano gittati vicino alla madre, i figli nostri vicino a me, noi non potevamo nemmeno poggiare la testa. Tutto era terrore quella notte: il nostro stato avrebbe intenerito i piú duri sassi. Il re tutto conosceva, come ci fu detto la mattina. Ci fu detto che un trattore intenerito dei nostro stato ci offeriva una stanza senza letti, perché non ne aveva. Noi vi andammo per stare almeno al coperto. Quel povero uomo ci diede due materassini, dove facemmo coricare i nostri bambini, e noi ci mettemmo a sedere sopra sedie. Io mirava quei bambini, e mi sentiva squartare il cuore, specialmente i figli di Faucitano che dormivano mi facevano piú pietá de’ figli miei, perché erano piú piccoli. La povera Mariannina moglie di Faucitano non cessava mai di piangere, il fratello don Gennaro pel dolore era sfigurato: la signora Agresti piangeva e stava immobile; i tuoi fratelli piangevano