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38 parte prima - capitolo v


Le parole cortesi, le promesse, le strette di mano erano per lui arti di bugia, perché voltava le spalle, e ghignando ammiccava ai suoi, e diceva che il mondo vuol essere canzonato, e un re deve sapere meglio degli altri l’arte di canzonarlo. Non gli veniva innanzi un uomo a cui non metteva un soprannome di beffa: a tutti gettava il motto pungente; deliziavasi di frustare le gambe al cavalier Caracciolo della Castelluccia, e di vederlo saltare, gridare, piangere, ed ei rideva degli scontorcimenti del vecchio. Una volta beffò il duca di Bovino, ignorante ma dignitoso, che adoperava il noi in vece dell’io questi osò dirgli: «Noi veniamo in corte per rendere onore a Vostra Maestá: se dobbiamo essere beffati, ci ritiriamo». Egli allora: «O duca, non ti prender collera, ch’io ti voglio bene, e scherzo». Ma il duca non andò piú a corte. Giunse a beffare sinanche il proprio figliuolo ed erede del trono, e lo chiamò sempre Lasagnone1.

Questo vizio in un re è codardia, perché non gli si può rispondere. Una volta che la regina Cristina stava per sedere innanzi al pianoforte, egli tirò indietro la seggiola; ed al suo riso, ella regalmente sdegnosa disse: «Credevo di aver sposato il re di Napoli, non un lazzarone». E veramente colui fu un re lazzaro, nato ed allevato per esser tipo di lazzaro; uomo volgarissimo, avaro, superstizioso: si sentiva dappoco, e credeva tutti gli altri dappochi: per lunga pratica di governo parve accorto, ma era bassamente furbo: fedele solo alla moglie, tenero dei figliuoli, costumato e modesto in casa, pessimo sul trono.

Secondavano il re i suoi principali ministri. Francesco Saverio Delcarretto, ministro della polizia e capo della gendarmeria, aveva in mano un immenso potere e lo esercitava con arbitrio spaventevole. Nei giudizi criminali, nei piati civili,

  1. Nel testamento di Ferdinando che è riferito nella storia di Giacinto de Sivo, autore non sospetto, sono queste parole: «La villa Caposele a Mola come bene libero lascio al mio primogenito, al mio caro Lasa» (cosí per vezzo l’appellava). V. Storia del de Sivo, lib. 16, § 20. E il Lasa una pudica abbreviatura del brutto Lasagnone.