Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. II, 1934 – BEIC 1926650.djvu/244

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tra le accuse v’era quella che i settari avevan fatto disegno di uccidere il signor presidente Navarra, giudice nella causa e commessario; onde rispettosamente e senza intenzione di offenderlo lo ricusavano. Questa ricusa fece sospendere i costituti: fu sottoscritta un’apposita dimanda da dodici di noi imputati, e dagli avvocati signori Giacomo Tofano e Gennaro de Filippo, e presentata alla corte per giudicarne. Per veritá prima di questo il signor presidente si aveva fatto questo scrupolo, ma la corte glielo aveva levato, decidendo che il presidente poteva giudicarci: onde rigettò la nostra ricusa. Ne facemmo ricorso in suprema corte, e questa rigettò il nostro ricorso, e c’impose come presidente, giudice, e commissario della causa il Navarra, contro la cui vita, come dicevano alcuni imputati confessi, si macchinava, e congiurava dai settari. Le decisioni della corte criminale e della suprema corte sono stampate, e si possono leggere da chi desiderasse sapere quali furono le ragioni e le considerazioni per le quali ostinatamente fu rigettata la nostra dimanda. Io non le ho mai capite, perché sono un uomo fatto alla grossa, con solamente un po’ di senso comune in capo, ed il senso comune ora è cosa differente dalla legge, ed in certi tempi il senso comune e la legge son cose che si debbono mettere da banda. Ricominciamo i costituti: ultimo il Pironti lesse per tre ore una sua lunghissima memoria di descarico, e nello stesso giorno, che fu il 9 febbraio di quest’anno, la corte dopo di aver meditato con divina intelligenza le memorie presentate dal Poerio, dal Pironti, dal Nisco, da me, e tutti i discarichi di quarantadue imputati, dopo una discussione di mezz’ora conferma l’accusa, e passa serenamente a trattar la causa de’ contadini di Gragnano. Cosí è pubblicato l’atto di accusa, che è un bel libro, stampato, con l’elenco de’ documenti, e la decisione della corte criminale che lo conferma. Allora vidi tutta la tela variatissima del processo, conobbi di che io era accusato, quali eran le volute pruove contro di me, e scorsi l’opera della malizia, dell’odio segreto e represso, che meditò contro me una terribile e infallibile vendetta.

Parlerò del processo nel capitolo seguente: ma prima di finir questo, debbo dire due cose gravissime. La prima è che Giacomo Tofano e Gennaro de Filippo nostri avvocati, che con la parola e con gli scritti avevano coraggiosamente difese le nostre ragioni nel giudizio di ricusa, furono il Tofano imprigionato, il De Filippo costretto a fuggire dal regno. Questi uomini generosi certo non