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Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. II, 1934 – BEIC 1926650.djvu/56

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50 parte terza - capitolo vii [336]


malvagio. L’anima mi si va guastando, mi pare che anch’io ho le mani lorde di sangue e di furto: ho dimenticata la virtú e la bellezza.

O mio Dio, o Dio padre degli sfortunati, o consolatore di chi soffre, deh salvami l’anima da queste sozzure: e se hai scritto che io qui debba finire la mia vita dolorosa, deh, fa che venga presto questa fine. Tu il sai, il dolore non mi spaventa né mi vince: io sopporto la mia croce, io la trascino anche camminando con le ginocchia per terra: ma io temo di divenire un malvagio, io temo che l’anima mia diventi scellerata, io giá non la riconosco piú. Come io ti verrò innanzi con quest’anima? Richiamami presto: che fo io piú su la terra, anzi su questo scoglio di dolori e di miserie, grave a me stesso, inutile agli altri? Fammi la grazia della morte, giacché gli uomini per tormentarmi mi han fatto la grazia della vita.

          Omnia perdidimus, tantummodo vita relicta est,
          praebeat ut sensum, materiamque malis.

Io sfido tutta la barbara e la civile crudeltá a tormentarmi, pestarmi, lacerarmi, dilaniarmi queste fragili membra, questo corpo debole: eccovi le mani, legatele con le funi e le manette: eccovi i piedi, stringeteli co’ ceppi: saziatevi delle carni e del sangue mio: ma non mi guastate l’anima mia, l’anima mia son io: sull’anima mia non han potere gli uomini: una cosa teme l’anima mia, il delitto. Il mondo non lo sa né lo concepisce, pochissimi lo sanno e lo sentono, che il primo di tutti i dolori possibili ed immaginabili è vedersi guastare l’anima. E questo dolore sento io ora: quando nol sentirò piú o sarò divenuto malvagio, o sarò morto.

E che ho fatto io per meritare tanti strazi, per esser mescolato e confuso co’ ladri, con gli assassini, co’ parricidi? Cristo agonizzò tre ore fra due ladri, io agonizzo da tre anni fra settecento scellerati pessimi.