Pagina:Sino al confine.djvu/153

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to e si faceva il segno della croce come se gli oggetti che vedeva fossero sacri.

— Qualche volta verrete anche voi a Roma! — disse Gavina.

— Bella figura farei accanto a voi due! Tutti si volterebbero a guardarci e direbbero: ma che miserabile suocera ha Gavina Sulis!

Gavina si mise a ridere: pareva molto allegra. Ma rimasta sola cominciò a preparare le sue cose per il viaggio che doveva segnare nella sua vita come un solco di divisione, e qualche sua lagrima cadde entro la cassa della biancheria come dentro una bara. Le pareva di seppellire il suo passato; ma quando la cassa fu riempita ella si sollevò e riprese il suo solito aspetto fiero: trasse dal fondo del suo cassetto le lettere e le cartoline firmate «P» le avvolse nel suo grembiale, scese nella cucina, in quel momento deserta, sedette davanti al camino e gettò il pacchetto sul fuoco. Addio! Tutto era finito da un pezzo: non rimaneva che il ricordo, e questo ora si riduceva ad un po’ di cenere. Immobile, cogli occhi fissi sul pacchetto che si carbonizzava avvolto dalle fiamme violacee, ella credeva di sentire alle sue spalle, per l’ultima volta, il suo canto monotono di fanciulla accompagnato dal rumore del macinino da caffè.


Torrat su corpus meu,
Pustis chi est sepultau,
A sett’unzas de terra...