Pagina:Sino al confine.djvu/17

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ammirava quell’uomo, che era ricco e si divertiva, che viaggiava e benchè ottimo amico del suo vicino il canonico ostentava un odio feroce contro tutte le religioni. Per Gavina egli era l’incarnazione del peccato mortale; eppure, mentre egli si allontanava, ella ne seguiva col pensiero la figura imponente.

Ecco, ora i cacciatori lasciano il paese, scendono per lo stradale bianco di polvere e di sole, costeggiano la valle, diretti al versante orientale della montagna abitato da cinghiali e da volpi. Là, per una o due notti, i cacciatori si accamperanno come una tribù nomade, e appostati fra le roccie della brughiera aspetteranno il passaggio del cinghiale. La luna viaggia verso occidente, da una montagna all’altra, illuminando la brughiera: Elìa, il ricco gaudente, e un altro giovane cacciatore, seduti dietro una roccia, parlano a bassa voce, raccontandosi scambievolmente le loro avventure amorose. Sì, ella lo sa: ha sentito dire da Priamo Felix il seminarista, che quando due uomini si trovano in compagnia, non parlano che di donne. E il signor Elìa, dice la gente, ha avuto parecchie amanti; egli è un uomo senza scrupoli. Gavina lo abborre, ma non può far a meno di pensare a quello che egli e l’altro cacciatore, seduti dietro la roccia, si confidano.

Un rumore di passi nel pianerottolo la scosse dal suo sogno. Paska, curva sul buco della